chimica industriale 2
  Steam cracking
 
Per il processo di cracking, abbiamo 2 principali fonti di olefine, la nafta e l’etano.
La nafta è il taglio del trattamento di distillazione del petrolio greggio in raffineria. Il processo di distillazione prevede una corrente in uscita dalla torre di distillazione primaria, che per le caratteristiche di volatilità e numero di atomi di carbonio (mediamente C7) viene definita appunto nafta. All’interno della raffineria la nafta è utilizzata prevalentemente e in alcuni casi come in America, esclusivamente per l’industria energetica (carburante, benzina, gasolio) e per l’estrazione di aromatici. In Europa e in Giappone la nafta è invece la materia prima per il processo di cracking.
La reazione di nostro interesse è la produzione di etilene dall’etano (vedi foglio 1)
In termini di costanti di equilibrio avrò dei valori molto bassi, cioè conversione molto bassa a Tamb. La reazione è endotermica e richiede dunque una certa quantità di energia perché la reazione proceda.
Facendo un’analisi termodinamica e analizzando la cinetica della reazione si riesce a giungere alla conclusione che i reattori progettati per lo steam cracking sono in grado di lavorare a:
 
-         T elevate;
-         tempi di permanenza bassi;
-         geometria tubolare;
-         alimentazioni diluite (steam)
 
La scelta della temperatura è condizionata fortemente dalla termodinamica; per avere una conversione elevata conviene lavorare con T che siano le più alte possibili compatibilmente con il tipo di reattore, i materiali da costruzioni ecc… Andare però a T elevate significa avere tempi di permanenza nel reattore sufficientemente bassi, limitando la formazione dei prodotti indesiderati.
La tendenza nella costruzione dei reattori è stata appunto quella di massimizzare la T di reazione avendo tempi di permanenza estremamente bassi; si è partiti con tempi dell’ordine dell’unità dei secondi fino arrivare a decimi di secondo o inferiori .
Considerato che le portate sono elevate , avere bassi tempi di permanenza significa dover realizzare velocità molte elevate; per fa r ciò si cerca di ottimizzare la geometria del reattore. Il reattore che consente di ottenere tempi di permanenza limitati è il reattore tubolare; un’altra scelta da fare è quella del diametro/lunghezza (è possibile avere molti tubi più corti di diametro piccolo oppure pochi tubi di diametro e lunghezza maggiore). Per la scelta è ben tener presente il fatto che le reazioni sono endotermiche dunque è necessario fornire calore dall’esterno.
Se si considera un reattore costituito da una serie di tubi a cui viene fornito calore, è bene tener presente il fatto che la T tende a diminuire al procedere della conversione; all’ingresso la reattività è maggiore e la P parziale del reagente è la massima possibile e si raggiungono le massime velocità di reazione; man mano che la conversione procede, la cinetica rallenta e tendo a convertire meno etano se la T si mantiene costante. Maggiore è il grado di conversione, maggiore è la diminuzione della velocità di reazione del mio sistema. Naturalmente ciò non mi conviene perché non voglio che la velocità diminuisca se fornisco calore in maniera omogenea non realizza una condizione ottimale, poiché in alcune zone, dove la conversione è più elevata dovrei fornire un flusso termico maggiore (perché è la zona in cui si consuma più calore).
Bisogna poi tenere presente un altro fattore nel trasporto di calore e cioè il catalizzatore; infatti il riempimento di catalizzatore all’interno dei tubi tende a creare un ulteriore resistenza al trasporto di calore che mi determina un profilo di T radiale (non ottenni mai un profilo piatto). Essendo, inoltre impianti di grossa capacità non sarebbe possibile utilizzare un numero infinito di tubi di piccolo diametro, il diametro non può essere ridotto di molto.
Inoltre è bene tenere in conto il trasporto di calore verso la parete del tubo , che dipende dalla maniera in cui viene generato il calore; occorre avere una T maggiore della T ottimale di parete. Ciò significa che le pareti del tubo devono resistere ad alte T e devono essere costruite con materiali speciali che non diano problemi di resistenza. Lo spessore del tubo determina una resistenza al trasporto conduttivo; essendo la differenza tra pressione interna ed esterna minima lo spessore può essere sufficientemente piccolo e ciò si traduce in una limitata resistenza nel trasporto di calore.
 
Dal punto di vista del trasferimento di calore dall’esterno, la soluzione è quella di avere dei grossi forni che contengono i gruppi dei tubi che costituiscono il mio reattore. Parte del reagente (della nafta) alimenta i bruciatori e si genera così il calore necessario per mantenere una certa T all’interno del reattore, che sopperisce all’endotermicità della reazione e realizzi un profilo di T che si avvicini a quello ottimale. La soluzione tipica è quella di aver i bruciatori montati nella zona vicina all’ingresso del reattore, dove c’è più bisogno di fornire energia termica al sistema. Naturalmente il forno sarà rivestito di materiale refrattario. Si hanno più tubi in parallelo, di dimensioni standard di una ventina di metri ad elemento, raccordati con opportuni gomiti per realizzare la lunghezza voluta in serie ai singoli elementi; in più si possono adottare delle soluzioni di ripartizione della portata in parallelo tra più elementi di tubi quando le portate sono elevate.
Il dimensionamento del reattore è un dimensionamento di progetto in condizioni di partenza del reattore; bisogna tuttavia tener presente che nel tempo il funzionamento del reattore varia a causa dell’andamento di reazione secondarie che portano alla formazione di coke. Questo nono può che depositarsi sulle pareti del tubo che costituirà un ulteriore resistenza al trasporto di calore. Occorre dunque tener conto di una resistenza maggiore. Inoltre la deposizione di tali materiali ha un altro effetto di tipo fluidodinamico, poiché il diametro del tubo tende a camminare dal valore di progetto e tende a restringersi nel tempo.
Per quanto si possano ottimizzare le condizioni, il coking è inevitabile nei reattori di steam cracking, per cui si accetta a priori di dover lavorare considerando lo sporcamento, prevedendo fasi di de-coking e dunque pulizia.
L’obbiettivo è allora quello di limitare le fasi di de-coking ottenendo una frequenza di de-coking più basso possibile.
Il de-coking può essere trasformando “C”in CO2 e H2O, gassificando “C” in dipendenza delle condizioni in cui si realizza. La reazione di combustione totale mi dà però il rischio di fenomeni secondari, essendo una reazione altamente esotermica dunque altamente reattiva. Non posso allora effettuare un de-coking incontrollato ma sfruttare condizioni di de-coking più blande (che pagherò in termini di velocità, di reazione più bassa e tempi più lunghi) per evitare il rischio di rovinare il reattore.
Per fare ciò anziché utilizzare ossigeno puro si usano delle miscele di aria e vapore in modo che la quantità di calore che si produce è più diluita. Tale condizione di alimentazione più blanda non permette di introdurre un inerte termico che, assorbendo parte di calore di reazione, limita l’innalzamento della T.
La ricerca si è spinta verso soluzioni innovative che consentissero di superare tale limite economico. Una prima indagine da fare riguarda l’influenza della natura del metallo del tubo sulla deposizione del coke : poiché l’acciaio non è omogeneo è possibile che vi siano degli elementi che tenderebbero addirittura a favorire la deposizione di C;cambiare allora la composizione dell’ acciaio può tradursi nell’avere una minore velocità di deposizione e quindi una frequenza di de-coking minore.
Un’altra idea è quella di inertizzare la superficie del metallo del tubo stesso in modo da avere la superficie meno attiva (ceramizzare il metallo “coating”). Occorre realizzare un coating con un materiale omogeneo che aderisca in modo adeguato al metano rendendo la superficie più inerte ; contemporaneamente è bene tener presente che lo sto rendendo meno conduttivo.
Recentemente si è ritornati a tale idea, realizzando il coating di spessore estremamente sottile con l’utilizzo di nano particelle con caratteristiche di materiale ceramico. Non vi sono però esiti applicativi di tali nuove idee.
Un’altra maniera di approcciare al problema è quello di osservare e studiare la morfologia dei depositi carboniosi; nel momento del de-coking posso sceglier la soluzione di coating più specifico per la morfologia in questione.
Gli elementi essenziali che devono costituire uno steam cracker possono essere così schematizzati (vedi foglio 2).
Si ha un forno con dei bruciatori, un camino per l’uscita dei fumi; all’interno del forno va collocato un certo numero di tubi organizzati in serie parallele.
L’alimentazione, che nel serbatoio di stoccaggio si trova ad una decina di gradi, va preriscaldata senza raggiungere le T elevate che porterebbero alla reazione occorre generare e fornire energia termica. E’ bene tenere in conto inoltre un raffreddamento che non può essere lento per   evitare che la reazione si sposti verso i reagenti ; devo procedere dunque con un “QUETCHING” della corrente in uscita in modo da bloccare la composizione della corrente stessa.   
Nel reattore sono presenti, dunque una sezione radioattiva e una convettiva. Occorre riscaldare la nafta e il vapore; la nafta può essere disponibile a 360 K. Nella sezione convettiva ho degli scambiatori di calore al cui interno finisce la nafta e il vapore diluizione, mentre all’esterno fluiscono i fumi caldi.
La nafta viene alimentata e riscaldata nella sezione convettiva più alta fino ad una certa T; il vapore viene riscaldata a T ancora più alta. Le due correnti si uniscono al terzo stadio di riscaldamento convettivo. In tal caso il rischio di cracking è limitato data la presenza del vapore; abbiamo cioè limitato la reattività della nafta diluendola. Tale corrente diviene l’alimentazione al reattore vero e proprio all’ingresso della sezione radiante del forno. All’interno di quest’ultimo fornisco una quantità di lavoro rilevante che mi permette di innalzare la T a 350 °C . Vi saranno delle perdite conoscendo l’efficienza dei bruciatori posso valutare la quantità di calore che riesco a generare, e anche quanta nafta devo consumare per generare quella quantità di energia termica.
Un altro aspetto non trascurabile è il fatto che, se il forno è pieno di tubi metallici, avrò un altro elemento ancora che tende a richiedere una quantità di calore maggiore di quella teorica ( data dal Delta T che realizzo tra l’ingresso e l’uscita del reattore e la quantità di calore legata alla conversione di nafta che moltiplicata per il calore di reazione) ; occorre poi considerare un coefficiente di rischio fra le perdite e l’efficienza dello scambi o e poi a secondo della T che si raggiungono nel forno bisogna considerare l’effetto dovuto al meccanismo dell’irraggiamento, che è condizionato dai fattori di vista. Altri fattori da considerare sono i bruciatori e la loro posizione. La corrente in uscita deve essere quindi raffreddata da una T di poca reattività (400 °C circa); con il calore posso generare il vapore utilizzabile.
Nel Tempo sono stati studiati, realizzati e sviluppati tanti processi; oggi i processi principali sono quattro. Una delle produzioni più semplici è il processo CATOFIN, che prevede vari reattori adiabatici in parallelo a letto fisso. Data l’endotermicità della reazione si ha una diminuzione di T lungo il reattore man mano che la x aumenta. La costruzione è molto semplice poiché devo prevedere solo un opportuno strato di isolante intorno ai reattori.
In ogni caso devo tener presente il fatto che si forma del coke, quindi occorre operare una rigenerazione del catalizzatore. La combustione del coke è invece una reazione esotermica; posso allora pensare di ottenere ciclicamente più stadi di reazione e rigenerazione in modo da sfruttare il calore della combustione del coke nella fase di rigenerazione per favorire la reazione che, essendo endotermica, necessità di calore.
Un altro processo è il PROCESSO OLEFLEX che prevede vari reattori adiabatici in serie con degli stadi di riscaldamento tra un reattore e l’altro. In questo caso la gestione della rigenerazione è differente: il sistema è pensato con un letto non fisso di catalizzatore ma mobile. Il catalizzatore si muove nelle direzione della corrente del gas che mano a mano si converte; durante il movimento avrà si fornito una certa conversione da propano a propilene ma si sarà anche ricoperto di coke. Occorre quindi inviarlo all’uscita dell’ultimo reattore ad uno stadio di rigenerazione, dove con aria si ossida il carbonio. Il catalizzatore così rigenerato viene inviato nuovamente ai reattori in maniera continua (ma dopo un certo periodo la carica va sostituita).
L’origine di tale soluzione deriva dai reattori di cracking catalitico. Infatti la necessità di rigenerare il catalizzatore in tempi brevissimi ha portato alla soluzione di muovere il catalizzatore.
Il terzo tipo di soluzione IL PROCESSO STAR prevede un reattore non adiabatico a cui occorre somministrare calore. Come nel caso dello steam reforming del metano, prevedo dei tubi riempiti di catalizzatore immersi in una fornace.
L’ultima soluzione il PROCESSO FBD-4 prevede ancora una tecnologia con catalizzatore mobile, ma questa volta vengono impiegati reattori a letto fluidizzato per i due stadi di reazione e rigenerazione. Il propano viene alimentato al reattore contenente il catalizzatore, che nelle condizioni di turbolenza spinta del reattore a letto fluidizzato massimizza l’efficienza degli scambi termici. Il catalizzatore, disattivato viene estratto e inviato al secondo reattore in cui viene inviata aria per bruciare il coke. Il catalizzatore così rigenerato viene inviato nuovamente al primo reattore con una circolazione continua. All’interno di ogni reattore sono presenti dei cicloni, poiché inevitabilmente parte del solido contenuto nel reattore tende a essere trascinato in fase gassosa. Poiché vi è una distribuzioni di dimensioni delle particelle solide allora le condizioni di fluidizzazione sono ottimali per un certo range di dimensioni delle particelle. Quelle più fini tendono a sfuggire mentre a causa di una serie di fenomeni, come ad esempio l’attrito, le dimensione delle particelle tende a cambiare e si va sempre più verso la condizione di trascinamento. Per ovviare a tali inconvenienti vengono appunto introdotti dei cicloni.
 
 
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