L’anidride maleica è un importante intermedio per le applicazioni di chimica fine. Essa ha la seguente struttura (vada foglio 1).
A temperatura ambiente è praticamente solido e si presenta sottoforma di cristalli aghiformi (si presenta in cristalli bianchi e di odore sgradevole).
Per ciò che concerne la stabilità e reattività essa è stabile sotto condizioni ordinarie di uso e stoccaggio ; sublima facilmente e lentamente si dissolve in acqua a dare un acido forte (malico). I suoi prodotti fusi devono essere mantenuti sotto i 70 °C. Se riscaldata si decompone a CO e CO2, non tende a polimerizzare, è incompatibile con i metalli alcalini e alcalino-terrosi; reagisce violentemente con le basi ed esplode facilmente a contatto con i prodotti ossidanti. L’anidride maleica si forma a partire da reazioni di ossidazione selettiva parziale. Il composto di base è rappresentato dal benzene oppure soprattutto oggi dall’n-butano.
PRODUZIONE A PARTIRE DAL BENZENE
Lo schema di reazione prevede la competizione tra l’ossidazione selettiva ad anidride malica e l’ossidazione totale a CO2 e H2O nonché l’ossidazione della stessa a.m. a CO2 e H2O (vedi foglio 2). Se l’O2 non viene limitato il sistema evolve verso le ossidazioni totali; le reazioni sono tutte estremamente esotermiche (in particolare l’ossidazione totale del benzene) per cui risulta fondamentale controllare la T nel sistema. Inoltre c’è il rischio di superare i limiti di infiammabilità, per cui è necessario utilizzare una soluzione molto diluita in benzene.
Dal punto di vista reattoristico si utilizza un reattore a tubi e mantello, raffreddato da un fluido refrigerante e con il catalizzatore immerso nei tubi. Il catalizzatore può essere di vari tipi , in genere si scelgono degli ossidi di vanadio o molibdeno (V2O5/MoO3) e si lavora in condizioni di eccesso di aria per cui l’azoto funge da diluente.
Tra i prodotti di reazione c’è anche l’acqua; in passato la separazione dei prodotti era sfruttata proprio sulla base dell’elevata solubilità dell’AM in acqua. Oggi si tende invece ad usare solventi specifici e selettivi ovviamente relativamente economici e con alti poteri assorbenti. Inoltre il solvente deve essere inerte rispetto alla reazione ( eccezione: in caso di adsorbimento chimico, favorito a quello fisico). Si devono perciò prevedere sezioni di rigenerazione del solvente con l’accortezza di progettare il sistema in maniera tale da ricorrere alla rigenerazione il meno possibile
(il solvente infatti ha un suo costo, abbastanza elevato, data la specificità dello stesso e le quantità utilizzate). Nel caso specifico dell’ A.M. si è partiti come solvente dall’ortoxilene per poi passare a solventi prodotti ad hoc per tale prodotto es. dibutilftalato.
REATTORISTICA E IMPIANTISTICA
I reagenti (benzene e aria) vengono alimentati al reattore previa miscelazione e riscaldamento. Il reattore viene raffreddato da Sali fusi (nitriti e nitrati) che essendo miscele che presentano eutettici possono assorbire grandi quantità di calore. A valle del reattore c’è una sezione di raffreddamento fino ad un primo separatore, che scinde la corrente in alimentazione in una costituita prevalentemente dall’anidride maleica e acqua e in una costituita prevalentemente da CO2 e H20. Ovviamente in quest’ultima ci saranno tracce anche di AM per cui è previsto un ulteriore sezione di separazione basata sulla solubilità dell’AM in acqua. La corrente in uscita dalla separazione contenente azoto deve essere trattata in un inceneritore per l’abbattimento degli eventuali residui carboniosi presenti. In media ci sono circa 10000 tubi in ogni reattore per la sintesi dell’AM con un’alimentazione contenente solo il 2-3% di benzene molare. Il reattore lavora a T 450 °C. (vedi foglio 3).
PRODUZIONE A PARTIRE DALL’ n-BUTANO
Anche in questo caso c’è un sistema di reazioni. (vedi foglio 4).
Le soluzioni reattoristiche adottate per questo processo sono molteplici:
-LETTO FISSO
-LETTO FLUIDIZZATO
-LETTO TRASPORTATO.
L’n-butano non deve essere vaporizzato ( in certe condizioni operative ) a differenza del benzene liquido. Limite principale dell’applicazione è legato al catalizzatore: nei casi di letto fisso i fenomeni di attrito e di resistenza dalle particelle sono rilevanti e si traducono in perdita notevole di catalizzatore e di resa. Perciò si è poi diretti verso l’utilizzo di un letto fluidizzato. D’altronde anche la progettazione di un reattore a letto fluidizzato con portate elevate quali quelle richieste dal mercato. Il catalizzatore utilizzato per il sistema è un pirofosfato di vanadio (VO)2P2O7.
Dal punto di vista cinetico la velocità di reazione sarà funzione delle P parziali di reagenti e prodotti e funzione, a livello macroscopico, degli stadi di reazione intermedi che si possono definire. La reazione è infatti complicatissima basti pensare all’evoluzione della molecola da C4H10 a C4H2O3.
E’ quasi miracoloso che si arrivi all’AM con una certa selettività tra l’altro abbastanza elevata.
Il processo a letto fisso è simile a quello col benzene quindi si utilizzerà un reattori a tubi e mantello, vi sarà un raffreddamento a Sali fusi, la T sarà di circa 400 °C e vi sarà una selettività massima del 60% con conversione del 80-90%.
Nel caso invece del processo a letto fluidizzato la temperatura sarà superiore (circa 500 °C) e la conversione sarà del 80 % con una selettività del 50%. In questo caso si converte di meno ma si parte da un’alimentazione più concentrata; bisogna però fare attenzione a non perdere le particelle di catalizzatore, ad esempio, con un sistema di cicloni all’interno e all’esterno dei tubi. Questi sono disposti lungo tutto il reattore in fasci, circondati da altri fasci tubieri in cui circola il fluido refrigerante. A valle del reattore vi sarà una sezione di assorbimento e di distillazione per il recupero dell’ AM con acqua.
Per quanto riguarda lo schema di processo possiamo dire che esso è molto simile a quello a partire dal benzene: sono ancora presenti assorbitori e stripper per separare i composti in uscita. Ottenuta l’AM grezza, la si separa dai sottoprodotti di reazione attraverso una serie di colonne di distillazione. Le concentrazioni di prodotto ottenute sono basse a causa dell’elevata diluizione di reagente necessario per rispettare i limiti d’infiammabilità del sistema C4H10/O2.
La reazione inoltre è molto esotermica, quindi, alimentare una corrente più diluita significherebbe generare molto più calore difficilmente smaltibile anche attraverso i Sali fusi. Infine, ultima considerazione da fare, è che la selettività del sistema può essere manipolata proprio mantenendo bassa la concentrazione del prodotto AM.
Il letto fluidizzato presenta però un picco di T all’inizio del reattore e ciò provoca che una parte di alimentazione viene persa per ossidazione totale quindi bisogna cercare di limitare questo picco.
Una soluzione trovata consiste nel creare un sistema di reazione meno ossidante utilizzando un ossidante meno forte dell’ossigeno, e in questo senso sono state trovate due ipotesi alternative. Da una parte si è pensato di utilizzare come ossidante ossidi di azoto ed in particolare l’N2O usando o comunque provando a sfruttare i reattori a membrana; l’altra proposta avanzata è quella di utilizzare l’O2 di un solido e del catalizzatore in particolare. L’ossido metallico, a contatto con l’idrocarburo riducente, perde molecole di O2 che vanno ad ossidare lì’idrocarburo in questione. Tuttavia, l’ossigeno così prodotto è meno reattivo dell’ossigeno puro o dell’aria in funzione, ovviamente, della forma in cui è presente nel catalizzatore e ciò dovrebbe portare alla tendenza del sistema ad evolvere verso l’ossidazione parziale piuttosto che verso quella totale.
Limite di tale via è il fatto che risulta impossibile realizzare un processo in continuo ma bisogna prevedere due stadi: uno di riduzione del catalizzatore e, quindi, di reazione vera e propria e uno di ri-ossidazione del catalizzatore attraverso, ad esempio, aria. Si deve perciò realizzare un reattore a letto trasportato (vedi foglio 5).
In tutti gli schemi di processi vi è la necessità di purificare la corrente di inerti dai composti organici che non sono ammessi per normativa nelle correnti da immettere in atmosfera. Perciò tutte queste correnti vengono solitamente inviate agli inceneritori. Anche qui sono state elaborate due vie principali per lo smaltimento.
Nella prima la corrente di off gas da smaltire viene riscaldata attraverso uno scambiatore di calore alimentato con i fumi di reazione per poi passare nel reattore catalitico. Qui avviene l’ossidazione totale dei composti organici che vengono inviati ad un secondo scambiatore per essere raffreddati fino a pochi gradi per poi essere immessi in atmosfera. Il bruciatore viene utilizzato nella fase di start up per il riscaldamento della prima corrente che viene alimentata al reattore, poi quando il sistema riesce ad auto alimentarsi il bruciatore viene spento (vedi foglio 6).
Laddove la corrente è più diluita in tali composti, ci si avvale di una seconda soluzione.
La corrente di off gas è alimentata ad una temperatura molto bassa e per tale motivo il reattore contiene sia il catalizzatore che due letti di materiale solido inerte ad elevata capacità termica. Il bruciatore viene alimentato con del gas naturale, parte dell’off gas viene bruciato al fine di riscaldare il letto di inerti. Quest’ultimo funge da serbatoio di calore, per cui, quando viene immessa la corrente di gas a bassa temperatura, il calore viene assorbito dalla corrente stessa che tocca il catalizzatore posto tra i due letti inerti e innesca la reazione esotermica di ossidazione.
Il recupero garantito da questi sistemi è del 95% . Un’alternativa a tale processo è, ovviamente, concentrare la corrente di organici per adottare la soluzione precedente aggiungendo quindi un altro stadio al processo di smaltimento, ad esempio, una corrente di adsorbimento volta ad adsorbire VOC (composti organici volatili) fino alla concentrazione di saturazione. Nella fase di desorbimento o rigenerazione dell’adsorbente, utilizzando portate piccole di sostanze organiche adsorbite, si otterrà una corrente più concentrata da trattare nelle sezioni successive. Ovviamente si necessita di due colonne continue, una per l’adsorbimento e una per la rigenerazione (vedi foglio 7).