chimica industriale 2
  ossido di etilene
 
La produzione di ossido di etilene a partire da etilene è il processo principe nell’ambito delle ossidazioni selettive. L’ossido di etilene è nell’intermedio utilissimo nella produzione di GLICOL ETILENICO (anticongelante) ed intermedio nella produzione di detergenti , basata sulla formulazione specifica dei componenti dei detergenti stessi.
Questi ultimi sono costituiti in massima parte da inerti e tensioattivi (sostanze che aumentano l’affinità tra l’acqua e l’oggetto da lavare) nonché da sostanze specifiche che permettono di lavorare con acque dure. Vengono aggiunti poi additivi vari per aumentare la brillantezza o per dare un profumo particolare oppure ancora per conferire un colore particolare. Di recente si sono sviluppati dei tensioattivi biodegradabili in tempi relativamente brevi.
Un passo avanti nella produzione di detergenti è stato compiuto con l’introduzione delle zeoliti 5A come catalizzatori(a seguito di alcune problematiche che i detergenti classici portavano, come un massiccio quantitativo di fosfati rilasciati in atmosfera dovuti ad un particolare additivo, il tripolifosfato). Le zeoliti 5A sono state scelte grazie al loro elevato potere di scambio ionico, elevata affinità per il calcio risultando quindi adeguate per “l’addolcimento” delle acque (scambio Na-Ca).
In generale i prodotti che derivano dall’ ossido di etilene hanno differenti usi.
Tra essi:
GLICOL MONOETILENICO:antigelo, polietilenitereftalati, liquidi per scambio termico;
GLICOL DIETILENICO: poliuretani, poliesteri, solventi;
GLICOL TRIETILENICO ;
GLICOL POLI (ETILENICO): industria cosmetica, lubrificanti, preparazioni farmaceutiche;
ETANOLAMMINE: saponi, detergenti, cosmetici e sostanze per la purificazione di gas naturale;
ETERI: detergenti, sostanze per l’estrazione di SO2, H2S e CO2 e mercaptani dal gas naturale del petrolio di raffineria.
Il primo processo industriale fu il cosiddetto PROCESSO ALLA CLORIDRINA (vedi foglio 1). Il nome del processo deriva dall’intermedio di reazione HOCH2 – CH2Cl
Il processo è suddiviso in stadi a partire dalla reazione tra Cl e H2O, il cui prodotto di reazione va poi a reagire con l’etilene per dare la cloridina che, a sua volta, reagendo con l’idrossido di calcio dà ossido di etilene, acqua e cloruro di calcio. Questi sono i 3 stadi principali; la formazione di cloridina è un processo altamente esotermico, che è una prima limitazione del processo a cui si aggiunge la difficile lavorazione del cloro come reagente e il difficile smaltimento del cloro di calcio solido prodotto. Vantaggio del processo è invece la forte selettività (quasi totale) ad ossido di etilene.
Poco prima della seconda guerra mondiale, però, si è cominciato a sfruttare un processo ad oggi ancora utilizzato, di OSSIDAZIONE DIRETTA dell’etilene ad ossido di etilene (vedi foglio 2).
La reazione procedeva verso la formazione di ossido di etilene in presenza di argento come catalizzatore a T= 200°C.
È ancora una volta un’ossidazione selettiva a cui però competono anche delle ossidazioni parziali secondarie. Queste ultime sono fortemente esotermiche a differenza dell’ossidazione ad ossido di etilene che è debolmente esotermica. L’ossido a sua volta può ulteriormente ossidarsi (ossidazione totale) a dare CO2 e H2O con un delta H paragonabile a quello delle reazioni secondarie.
Sono tutte reazioni termodinamicamente favorite anche a bassa T (ovviamente in maniera differente) mentre su di esse la pressione ha un effetto poco rilevante. Modulando adeguatamente il rapporto di alimentazione ad una T bassa corrisponde una cinetica abbastanza lenta per cui il sistema è catalizzato da argento col vantaggio di avere un catalizzatore altamente selettivo.
Tra le reazioni secondarie, quella più “preoccupante” è l’ isomerizzazione dell’ossido di etilene ad acetaldeide (CH3CHO) che risulta ancora più reattiva verso l’ossidazione totale.
L’attività del catalizzatore scelto dipende dalla capacità di dispersione delle particelle di metallo su un’elevata superficie. In realtà, in questo caso, non è necessario avere un catalizzatore molto attivo ma, per avere un’elevata superficie disponibile di argento basta scegliere un materiale di supporto ad alta porosità. Ciò porta però a favorire le reazioni in serie poiché il tempo di contatto del catalizzatore con le particelle reagenti è tale da consentire sia lo sviluppo della reazione principale che quello delle reazioni secondarie in serie.
Il supporto che si usa per l’argento Ag risulta quindi allumina (Al2O3), Cs o Ba per aumentare la basicità del sistema sfavorendo in particolar modo la reazione di isomerizzazione dell’ossido di etilene ad acetaldeide e composti organici contente Cl in piccolissime percentuali, essi infatti, in condizioni di reazione si decompongono rilasciando atomi di cloro che aumentano la selettività del sistema e limitano le reazioni di ossidazione totale.
La formulazione del catalizzatore deriva da osservazioni sperimentali i meccanismi di reazione sono stati infatti studiati a lungo anche per cercare di capire la forma in cui l’argento risulta più attivo selettivamente (si ricordi che si lavora in ambiente ossidante).
La sequenza che inizialmente sembrò plausibile fu (vedi foglio 3).
L’argento metallico, in presenza di ossigeno, si ossida per adsorbimento molecolare in AgO2 che, in presenza di etilene, dà luogo ad ossido di etilene ed AgO. Il sistema, in presenza di altro etilene, risulta attivo per l’ossidazione totale a CO2  e acqua.
Come seconda ipotesi è stata formulata la teoria per cui la specie attiva per la selettività non sia l’AgO2 ma l’AgO che può catalizzare sia l’ossidazione totale che quella a C2H4O in funzione della carica negativa sita sull’ossigeno della forma AgO che è influenzata pesantemente sia dalla presenza di promotori (cesio e bario) che dalla presenza di cloro.
Infatti cambiando la carica negativa dell’ossigeno cambia anche il tipo di interazione tra la specie AgO e i composti reattivi.
A livello macroscopico un’altra osservazione sperimentale che si può fare è che all’aumentare della conversione, la selettività del catalizzatore tende a diminuire progressivamente.
Per valutare i limiti di conversione è necessario valutare i limiti di infiammabilità delle sostanze in questione che limitano anche la scelta delle condizioni operative.
Si dovrà lavorare con concentrazioni di ossido di etilene estremamente basse e non superiori al 3% in volume per non incorrere nella zona di infiammabilità del sistema ossido di etilene/O2.
Si è giunti quindi ad una seconda opzione volta soprattutto a controllare la quantità di calore che viene liberata nel corso della reazione. Tale operazione consiste nella sostituzione dell’aria quale mezzo di alimentazione dell’O2 con ossigeno puro e metano quale inerte. Tale scelta ha il vantaggio di eliminare i grandi volumi di reazione costituiti dall’azoto inerte.
Il metano è anche un volano termico che permette un controllo più adeguato della T del sistema (capacità termica più elevata); inoltre a T= 200°C è sicuramente inerte rispetto a tutti i componenti presenti nel sistema.
Il reattore che si utilizza è quindi tale da garantire un’alta superficie esposta, in genere è del tipo tubi e mantello in cui il catalazzatore è alloggiato nei tubi.
Confrontando le due soluzioni O2 PURO/ARIA si trova che l’ossigeno deve essere sempre a concentrazioni inferiori al 10% e anche l’anidride deve essere in piccole concentrazioni per favorire le condizioni di reazione (sempre sulla base di osservazioni sperimentali). Le T, le P e le velocità spaziali sono paragonabili; le conversioni sono basse con selettività leggermente maggiore nel caso di O2 puro.
Le tracce di argon presenti come inerti, nel caso di ossidazione con O2 puro, derivano dai processi di ottenimento dell’O2 stesso. Tali processi si riconducono essenzialmente alla distillazione liquida: l’argon “segue” l’O2 e viene staccato con esso. L’argon ha comunque caratteristiche di volano termico migliori di quelle dell’azoto e funge da inerte nella reazione di ossidazione.
Va tenuto conto quando si dimensiona l’impianto ed è necessario che le sue concentrazioni, nell’ambito delle fasi di riciclo, non risultino troppo elevate. Va adeguatamente progettata quindi una sezione di spurgo sia nel caso di reazione con O2 puro che quella con aria. Va anche tenuto conto nella progettazione delle sezioni di separazione e di spurgo che ci sarà un’elevata quantità di etilene non reagito di cui si deve limitare la perdita. In entrambi i casi in uscita dal reattore avremo correnti estremamente diluite in ossido di etilene (2-3%).
Come molte reazioni, anche in questo caso, osserviamo una sequenza di reazioni il cui meccanismo risulta ancora di difficile comprensione. Sono state comunque avanzate una serie di ipotesi basate sulla caratterizzazione dei singoli stadi: viene ovviamente prevista una fase di adsorbimento dell’O2 e dell’etilene sul catalizzatore, una fase di reazione (cosidetta parziale) e una in cui si instaurano le reazioni secondarie (es. la formazione di acetaldeide per isomerizzazione). Infine vengono considerati gli effetti di inibizione della CO2 quando essa raggiunge determinate (alte) concentrazioni.
Un’altra caratteristica di questi sistemi di reazione è quella di essere STRUCTURE SENSITIVE REACTION, ossia reazioni sensibili alla struttura. Tali reazioni sono definite tali poiché non tutte le facce del cristallo della specie attiva riescono ad essere attive allo stesso modo rispetto alla reazione in questione. Quindi, a parità di sostanza, ci sarà un forte effetto della struttura del catalizzatore sulla reattività del sistema. In questo caso, quindi, è necessario preparare adeguatamente la struttura del CATALIZZATORE o studiare i meccanismi di reazione in funzione delle facce esposte del catalizzatore.
 
SCHEMA DI PROCESSO I (vedi foglio 4)
 
In questo caso il processo prevede l’utilizzo dell’O2 alimentato insieme all’etilene, all’inerte e ad un promotore gassoso (solitamente composti contenenti cloro) per alimentare la selettività del sistema modulando la distribuzione delle cariche negative dell’ossigeno favorevole all’epossidazione dell’etilene piuttosto che all’ossidazione totale dello stesso.
I reagenti dopo essere stati miscelati vengono pre-riscaldati e inviati al reattore (T=200°C); quest’ultimo è a fascio tubiero raffreddato all’esterno da un fluido refrigerante. In uscita dal reattore, la corrente costituita dagli inerti, dall’etilene e dell’O2 non reagiti e dai prodotti di reazione viene inviata ad un primo scrubber, ove si ha la separazione dell’ossido di etilene sulla base della sua elevata solubilità in acqua. Il processo è facilitato, nella seconda colonna di stripper, da una corrente di vapore. La corrente in uscita dallo scrubber, privo di ossido di etilene, o quasi, conterrà della CO2 solubilizzata in acqua (all’equilibrio nello scrubber) e viene inviata in una sezione di separazione volta proprio all’abbattimento della CO2 dalla corrente che si vede riciclare in testa al sistema.
Se le quantità da abbattere di CO2 è elevata, si procede con un ulteriore separazione finchè la quantità di CO2 nella corrente di riciclo non rientra nei limiti per cui la reazione di ossidazione parziale è favorita. È poi presente un compressore poiché le operazioni di separazione vengono condotte a 20-30 atm.
SCHEMA DI PROCESSO II (reattore ad aria)
Il processo vede come reagente l’aria e l’etilene e prevede due sezioni complessive; tipicamente si lavora con due reattori, in quello primario l’aria purificata e l’etilene reagiscono evolvendo a ossido di etilene e ai sottoprodotti secondo una reazione esotermica raffreddata da vapore. In uscita è previsto un ulteriore stadio di reazione anticipato però da una sezione di assorbimento del primo prodotto formatosi. Il reattore secondario è strutturalmente uguale al primo e, in uscita da questo la corrente viene ulteriormente sottoposta alla separazione. Il grosso del volume in quest’impianto è costituito dall’N2, che determina anche delle perdite nelle fasi di separazione.
 
SCHEMA DI PROCESSO III (reattore ad ossigeno)
 
La differenza sostanziale con il caso immediatamente precedente risiede nel blocco di separazione della CO2, in maniera tale da non far accumulare l’anidride nella corrente di riciclo a scapito dell’avanzamento della reazione.
 
CONFRONTO PROCESSO ARIA/O2
 
Il processo con O2 determina la necessità di sezione di separazione della CO2 nonché dei costi aggiuntivi per l’ottenimento della materia prima; il processo con aria invece comporta un notevole volume di reazione (dovuta all’N2) ma rese in EO inferiori.
 
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